La duesettecinque
Come non facevo da anni ho trascorso le mie vacanze estive in Puglia. Ho letto tanto, ho osservato tanto, ho lavorato su di me e su chi mi è caro, perché quando corri non vedi più te stesso e ti perdi ogni giorno un po’ di più.
Cammin facendo però, l’urgenza dell’attualità mi ha incrociato e non posso non dire come la penso su una strada fisica, reale, vera, impellente e attuale. La 275.
Il fatto.
Alcuni politici locali, evidentemente scambiando l’aggettivo locale per un sostantivo più becero, lottano da anni per avere una strada che tagli a metà il capo di Leuca per congiungere la cittadina più meridionale di Puglia a Maglie. Dicono, questi signori, che serve allo sviluppo locale (e sono magari in parte gli stessi che militano a favore della follia di una regione Salento). Dicono che per rilanciare l’economia del capo servono infrastrutture.
Una strada che costa 287 milioni di euro (!) di cui 135 di fondi Fas (ricordate cosa sono?) e 152 della regione per costruire in totale ben 7 chilometri (sic!).
E lottano, questi signori, contro una bella proposta alternativa della Regione Puglia di trasformare l’iniziale e vecchissimo progetto che prevede un ponte di centinaia di metri steso su piloni in calcestruzzo a tagliare le serre salentine, ferendole a morte, in una strada parco che farebbe scorrere l’asfalto tra alberi secolari e dune, senza tagliare alcun arbusto e facendo perdere in totale solo qualche minuto in più a chi, ansioso, cerca di raggiungere la “fine della terra”.
La distanza di posizioni, certificata da una brutta decisione dei tribunali amministrativi, si misura, dunque, in pochi chilometri di differenza. Ma, in cambio, se fosse accettato il progetto regionale, i salentini guadagnerebbero in qualità della vita.
Potrei raccontare la stessa storia parlando della cosiddetta strada dei trulli, progettata dagli amministratori di Cisternino (Br) per tagliare a metà i monti cistranesi e velocizzare non si sa bene quale traffico.
Cosa spinge politici, amministratori e cittadini a scegliere di correre più veloci tagliando alberi e pezzi di identità, piuttosto che la bellezza dell’andar lenti, della tutela del paesaggio e della scoperta?
Queste sono le battaglie di un nuovo umanesimo cui dobbiamo lavorare.
Lo dico da tecnico, se me lo si passa: è ingiustificabile dire che se Lecce si classifica al 4 posto tra le dieci località italiane scelte dai turisti (e ce ne sono ben altre due tra le prime dieci italiane, Viste all’ottavo e Gallipoli al nono posto, fonte: www.trivago.it) uno dei motivi principali è l’aver ospitato uno dei film di maggiore qualità e successo dell’ultima stagione cinematografica italiana (Mine vaganti)? E che se iniziassimo a rendere meno affascinante e unica la nostra terra, registi e autori non si lascerebbero più abbacinare dalle nostre pietre e dalle nostre storie? E la nostra modernità quanto poggia sul riuso sapiente e innovativo della tradizione, sulla forza di una identità che ha saputo proteggersi dall’annessione culturale di un nord che vive il moderno come devastazione del passato senza però saper prefigurare un vero futuro (leggere e rileggere sempre “Il pensiero meridiano” e “Mal di Levante” di Franco Cassano), che per competere nella globalizzazione dei mercati occorre mantenere forte la propria identità per non essere travolti dal pensiero unico che vede nella finanza la vera ricchezza e non – invece – nella qualità dei manufatti e dei servizi, nei legami tra esseri umani e nel rispetto di ogni forma vivente?